La conformazione dell’apparato vocale di un neonato è tale da non permettere di parlare. Il bambino è capace solo di piangere, strepitare, sbavare, starnutire, tossire. A sei mesi il bambino inizia a controllare volontariamente alcuni suoni. Iniziano le lallazioni ( MA-MA-MA; DA-DA-DA). In seguito le lallazioni diminuiscono e il bambino inizia sempre più a controllare il tono vocale. Ad 1 anno il bambino udente imita gli adulti udenti ed è a questo punto che la differenza tra lo sviluppo di un bambino udente e lo sviluppo di un bambino sordo diventa tangibile. Iniziano, per il bambino sordo, le prime difficoltà nell’apprendimento del linguaggio vocale.

Chi nasce sordo o perde l’udito entro i due anni di vita non riesce ad imparare il linguaggio perciò diventa, come si suole dire “ sordomuto “.
Questa parola ha creato una serie di equivoci in quanto ha portato l’immaginario collettivo a credere che chi fosse sordo di conseguenza dovesse essere anche privo di parola e quindi “muto”.

In realtà così non è. Salvo rare eccezioni, apparato fono- articolatorio dei bambini che nascono sordi è integro così come è integrato la loro “ facoltà di linguaggio, che a causa del oro deficit non può “ entrare in funzione” così facilmente come avviene nei bambini udenti. La facoltà di linguaggio è quella facoltà che permette ad ogni bambino di imparare una lingua a patto di essere esposto ad essa. Essere esposti ad una lingua significa udire e comunicare con l’ambiente circostante in quella lingua.

Il problema del bambino sordo è proprio questo: non potendo udire la lingua parlata. Intorno a sé, non può imitare i suoni dell’ambiente, non ha feedback acustico sulle sue stesse produzioni e non può comunicare a pieno con coloro che lo circondano. La sua facoltà di linguaggio subisce un arresto forzato. La vista integra funge da canale sostitutivo nel trasmettere tutta quella parte di comunicazione che viaggia su questa modalità.

Accade però che, dal momento che la lingua utilizzata nel contesto familiare si serve prevalentemente del canale acustico vocale, solo una parte molto ridotta di messaggi comunicativi raggiunga il bambino sordo che, per lo più, resta escluso dalla comunicazione linguistica con l’ambiente che lo circonda.
I pochi messaggi che gli giungono sono in realtà estremamente impoveriti e, necessariamente, l’informazione si riduce. La competenza linguistica di italiano dei soggetti sordi è, perciò, spesso compromessa sia a causa di uno input ridotto sia per il ritardo di esposizione alla lingua.
I sordi però hanno trovato una via alternativa per realizzare la loro facoltà di linguaggio. In sostituzione della mobilità acustica hanno scelto la mobilità visiva per loro integra: al posto dei suoni vocalici e delle parole hanno intravisto la possibilità di usare gesti manuali o segni per comunicare. La mobilità visivo gestuale ha sostituito quella acustico-vocale.
Un bambino udente apprende con molta naturalezza a parlare, perché sin dalla nascita si trova in un contesto che lo stimola ad udire, a ripetere, a rispondere quando avrà acquisito le abilità necessarie.
Il bambino si trova esposto non al linguaggio a lui direttamente rivolto, ma anche a quello, più complesso e ricco, che gli adulti usano tra loro in sua presenza. D’altronde il modo di rivolgersi al bambino favorisce l’apprendimento del linguaggio in bambini udenti. (MOTHERESE).

A 24 mesi il bambino udente possiede già un vocabolario di 300 parole, per la maggior parte acquisite verso la fine del secondo anno d’ età.
Il mondo di esperienza della maggior parte dei bambini sordi è più limitato di quello dei bambini udenti, la loro interazione con il mondo implicherà ruoli e limitazioni in parte diversi e queste differenze presenteranno un insieme di implicazioni significative per lo sviluppo psicologico del bambino sordo.
Oltre agli effetti diretti della sordità sull’udito e sul linguaggio, la perdita dell’udito, comporta una varietà di conseguenze che influiscono sulle interazioni dei bambini con l’ambiente. Il linguaggio svolge un ruolo centrale nello sviluppo dei bambini normali e la sua importanza non può essere sottovalutata. Nel caso dei sordi ogni strumento di comunicazione regolare e socialmente accettato può efficace per il normale sviluppo quanto il linguaggio verbale.

La povertà uditiva non favorisce un pieno controllo dell’ambiente in cui vive il sordo, il quale avrà scarsa e superficiale esperienza del mondo, rigidità comportamentale rispetto alle norme sociali, inclinazione all’isolamento o all’ostilità nei confronti della società. La deprivazione sensoriale uditiva compromette, come aspetto più rilevante, il piano della comunicazione. Per partecipare alla vita comunitaria ben presto il sordo impara a sviluppare l’intelligenza visiva, che si avvale del linguaggio gestuale per comunicare, dopo aver spesso trascorso vissuti di isolamento e di frustrazione. Il fatto di non sentire, priva il soggetto dell’acquisizione spontanea del linguaggio verbale e contestualmente può alterare, se non adeguatamente educato, la formazione degli schemi di adattamento che assecondano la maturazione e lo sviluppo della persona. Per questo, la costruzione dell’ ”IO” trova più difficoltà ad emergere e ad organizzarsi. L’isolamento sensoriale diviene isolamento comunicativo con conseguenze dirompenti sul comportamento, quali: l’irrequietezza, il disagio, l’instabilità, l’ansia, la paura, l’incomunicabilità. La persona sorda, se non usufruisce di interventi precoci, può rischiare di interiorizzare la realtà in modo distorto. Il contatto e la conoscenza del mondo avviene, per il sordo, prevalentemente attraverso la vista, che gli consente di prendere coscienza sia del movimento, sia dell’appartenenza dell’oggetto all’ambiente.

Gli studi clinici indicano che dopo i 12 anni è molto difficile apprendere il linguaggio; mentre l’età precoce per ottenere buoni risultati è tra 0 e 3 anni, quando il bambino udente acquisisce le strutture fondamentali della lingua in cui viene esposto.

Il recupero educativo rimane comunque il miglior metodo di integrazione sociale, con una forte attenzione al senso di responsabilità da parte chi lo circonda. Il recupero del sordo in tarda età è praticamente impossibile.

Nonostante queste analogie è ormai unanime l’opinione che il bambino sordo, per potersi inserire nella società ed acquisire un livello di sviluppo intellettivo adeguato all’età debba comunque imparare a parlare.

Il linguaggio vocale è il mezzo attraverso cui poter comunicare con la maggior parte delle persone; è indispensabile per inserirsi nella vita scolastica e lavorativa. Studi sull’acquisizione del linguaggio orale da parte di soggetti sordi hanno evidenziato che l’insegnamento del linguaggio dei segni e contemporaneamente del linguaggio orale facilita l’apprendimento di quest’ultimo, oltre a favorire lo sviluppo delle capacità intellettive ed una più armonica strutturazione della personalità. In una ricerca, condotta su bambini sordi figli di genitori udenti e non, si è visto che le prestazioni migliori in test di competenza linguistica erano quelle del gruppo dei bambini nati da genitori sordi che usavano abitualmente il linguaggio dei segni ed avevano inoltre una buona conoscenza della lingua parlata e scritta. Questi risultati smentiscono la tesi – sostenuta dagli “oralisti” più intransigenti – che il linguaggio dei segni, considerato più semplice e comodo da usare da parte del sordo, costituirebbe un elemento di disturbo per l’apprendimento del linguaggio orale. Fin dall’inizio del trattamento terapeutico occorre avere le idee ben chiare su quale linguaggio il bambino debba apprendere. La scelta dipende molto dalla famiglia, soprattutto nel caso di genitori sordi che non conoscono il metodo orale o lo conoscono poco. Si possono avere, in generale, quattro situazioni:
a) acquisizione del solo linguaggio orale;
b) acquisizione del solo linguaggio segnico;
c) acquisizione di entrambi i linguaggi distinti (bilinguismo);
d) acquisizione del linguaggio orale con supporto segnico (approccio bimodale).
Nell’approccio misto o bimodale, oltre all’allenamento acustico dei bambini protesizzati, sfruttando ogni residuo uditivo, e al potenziamento della lettura labiale, troviamo l’insegnamento dell’italiano segnato (IS), in cui la parola detta è associata ad un segno gestuale. La struttura della lingua rimane

inalterata: questa metodologia logopedia permette di apprendere un’unica lingua italiana, che è basata su un doppio codice, acustico-verbale e visivo- gestuale.
Oltre all’italiano segnato, nel metodo bimodale si può far uso dell’italiano segnato esatto (ISE): si utilizzano cioè, per tutte quelle parti del discorso a cui non corrispondono dei segni (articoli, preposizioni, plurale dei nomi) gli evidenziatori, cioè dei segni artificiali, e la dattilologia (l’alfabeto manuale). L’obiettivo del metodo bimodale è la migliore competenza possibile del bambino sordo nella lingua parlata e scritta. I segni costituiscono un supporto che egli usa quando non è ancora abbastanza competente nel linguaggio verbale, per poter rispettare le stesse tappe evolutive del bambino udente.

Questo metodo cerca di tener conto di tutti gli aspetti del linguaggio verbale (fonologico, morfosintattico, semantico, pragmatico) e dei suoi diversi contesti: parlato e scritto.

La priorità spetta però alla comprensione del linguaggio, piuttosto che alla produzione.

Secondo Francois Grosjean, uno psicologo che insegna attualmente in Svizzera, con un corso che risponde alla domanda “Chi è bilingue?”, un individuo bilingue è in grado di operare una netta separazione fra i due sistemi linguistici quando si esprime. Numerosi studi di linguistica e di psicologia del bilinguismo hanno ritenuto utile di distinguere diversi tipi di bilinguismo (bilinguismo compatto, coordinato o subordinato; bilinguismo precoce, o tardivo, acquisizione adulta di una seconda lingua; bilinguismo bilanciato, bilinguismo dominante). Alcune decine di anni fa sembrava che i bilingui fossero una rarità e attualmente la prospettiva è cambiata completamente. Purtroppo in Italia ci sono poche ricerche e in maggior parte le persone sono definite monolingui perché in genere alla società italiana interessa più la vita di carriera politica ed accademica e non si impegnano nell’educazione delle lingue e del linguaggio di cui si hanno pregiudizi: sono nate così una serie di espressioni come lingua e idioma dialettale che appartengono a una visione dicotomica dell’ideologia colonialista che ha opposto parole come civilizzato a selvaggio, lingua a dialetto, popolo a tribù, ma come ha sottolineato il linguista Louis J. Calvet “quello che chiamiamo dialetto non è una lingua morta o sconfitta ma una lingua imposta in politica”. I rapporti fra lingua e potere, dice l’altro linguista francese Claude Hagège, “..la lingua è un bene politico. Qualsiasi politica della lingua fa il gioco del potere...perché l’unità della lingua interessa al potere”

Conclusione pragmatica che un soggetto è bilingue se conosce, comprende e parla: due lingue, due dialettali, oppure una lingua e un dialetto.

Leducazione bilingue bimodale consiste invece nell’esporre il bambino sordo contemporaneamente alla lingua vocale e alla lingua dei segni.

I fautori di questo approccio si basano sul fatto che le persone sorde acquisiscono con più facilità la lingua dei segni, poiché essa viene acquisita attraverso un canale sensoriale integro: quello visivo. Ciò allontanerebbe il rischio di un ritardo nello sviluppo cognitivo globale e nell’apprendimento dei contenuti disciplinari.

Concludiamo che il bambino sordo non dovrebbe mancare la possibilità di imparare spontaneamente una lingua vocale cioè tramite il canale uditivo, la possibilità di acquisire il linguaggio vocale rende dopo aver appreso una lingua secondo tempi e modi del normale sviluppo evolutivo, attraverso la modalità visivo-gestuale, la lingua dei segni italiana (LIS). Le due lingue proposte dai progetti educativi, secondo i criteri dell’educazione bilingue bimodale, da due insegnanti con una buona conoscenza in entrambi codici linguistici, in momenti e contesti nettamente separati. Solo così rende la possibilità di non confondere al bambino di comunicare, comprendere e produrre in una sola lingua a secondo il contesto che si trova. Però non si può certamente usare il bilinguismo simultaneo per i bambini sordi, perché i due codici linguistici ( lingua vocale e lingua dei segni) non sono uguali: “la lingua dei segni può essere acquisita spontaneamente mentre quella vocale, a causa del deficit sensoriale, può essere appresa solo seguendo un iter educativo più lungo e complesso.”

Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Astrolabio, Roma 1996, (pag. 120).
Ardito B., Mignosi E., Vivo una favola e imparo le lingue. Giocare a parlare con bambini sordi e non, La Nuova Italia, Firenze, 1995

Maragna S., La sordità, Hoelpi, Milano 2000, (pag. 34).

Tomasuolo E., Resca A.,Rinaldi P., Sordità Infantile, Erikson, Trento, 2018.

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