“Normalmente ogni bambino può acquisire nella sua infanzia qualsiasi lingua, a meno che non abbia problemi foniatrici, neurologici o di apprendimento. E’ molto importante, tuttavia, non confondere una lingua con la comunicazione in generale. I ricercatori linguistici hanno precisato che ogni lingua umana è uno strumento di comunicazione doppiamente articolato e di carattere vocale. Tutte le lingue umane utilizzano fondamentalmente il canale vocale-uditivo, prima di tutto esse si parlano e si comprendono perché un parlante produce suoni particolari che vengono percepiti dall’orecchio dell’ascoltatore. La doppia articolazione è quella che le lingue utilizzano anche altre modalità di comunicazione, come ad esempio la scrittura o il linguaggio gestuale. I due piani fondamentali di tutte le lingue umane sono le parole, lingue formate da unità linguistiche dotate di significato che possono combinarsi fra loro per formare un numero quasi infinito di frasi, e i fonemi; ogni lingua ha un numero limitato di suoni che possono combinarsi fra loro permettendo di formare tutte le parole di una data lingua ” (Fabbro, 1996).)
Soltanto nella specie umana sembrano essersi sviluppate, nel corso dell’evoluzione, le basi neurologiche che rendono possibile un’acquisizione spontanea delle lingue. Il bambino ha un ruolo attivo nel processo di apprendimento del linguaggio, portando come suo contributo una serie di potenzialità e di modi di analisi e di elaborazione degli elementi linguistici: affinché il bambino possa esprimere le sue potenzialità, però, occorre creare intorno a lui un ambiente linguistico adeguato.
L’acquisizione del linguaggio procede per fasi che si succedono in un determinato ordine e che vengono condivise dalla maggior parte dei bambini; non bisogna comunque sottovalutare che tale successione è caratterizzata da fortissime variazioni individuali che riguardano non solo i tempi, ma anche i modi e le strategie di apprendimento.

I bambini sordi esposti fin dalla nascita alla LIS percorrono esattamente le stesse tappe evolutive di acquisizione del linguaggio, e negli stessi tempi, dei bambini udenti che acquisiscono la lingua vocale. E’ importante sottolineare come ci sia, di fatto, un’equipotenzialità comunicativa fra la modalità verbale e quella gestuale che, nelle fasi più precoci dello sviluppo linguistico, costituiscono un unico sistema; in seguito, poi, i diversi contesti influenzeranno la scelta dell’una o dell’altra modalità. Il contesto in cui la comunicazione ha luogo influenza quindi l’uso da parte del bambino di parole o gesti: l’input nell’interazione bambino- adulto diviene dunque discriminante per il successivo prevalere della modalità vocale o segnica. Molto diverso è il caso di quei bambini che nascono sordi da genitori udenti (95% dei casi). Questi bambini non sono esposti, a causa del loro deficit, alla lingua parlata nell’ambiente, né possono acquisire spontaneamente la lingua dei segni poiché questa non è usata in famiglia.

Queste ricerche hanno mostrato che i bambini sviluppano ed usano un sistema gestuale che esprime molte delle funzioni comunicative, semantiche e pragmatiche, tipicamente presenti nel linguaggio di bambini esposti ad una lingua, in condizioni normali. Tali strutture linguistiche utilizzate da questi bambini sono più “complesse” rispetto a quelle usate da bambini udenti non segnanti, ma più “semplici” se confrontate con i segni dei bambini sordi e con le parole di quelli udenti rispettivamente esposti ad una lingua dei segni e ad una lingua parlata. Inoltre i bambini sordi non esposti ad uno input in segni, sono in grado di combinare fra loro due o più gesti rappresentativi (contrariamente a quanto avviene per i bambini udenti), ma questa abilità compare quando la loro età cronologica è molto più avanzata rispetto a quella in cui bambini esposti ad una lingua a tutti gli effetti

producono le prime combinazioni di segni o parole.
L’acquisizione della lingua vocale da parte di un bambino sordo, invece, non è mai spontanea e avviene in modo artificiale grazie ad un insegnamento specifico e formale e alla terapia logopedia: per questo parliamo infatti di apprendimento e non di acquisizione. Alcune variabili di grande importanza possono favorire lo sviluppo del linguaggio vocale: una diagnosi precoce, il supporto di un programma di educazione al linguaggio, protesi efficaci. In ogni caso, anche con questi interventi, l’acquisizione della lingua parlata procede con un notevole ritardo. Le prime parole possono non comparire fino a 2/3 anni, lo sviluppo del vocabolario procede ad un ritmo molto lento, le frasi a 2 o più parole possono non presentarsi fino ai 4/5 anni e l’acquisizione di aspetti morfologici e grammaticali è altrettanto tardivo e può restare incompleto.
Per quanto riguarda quindi i bambini sordi con genitori sordi ci può essere acquisizione spontanea della LIS (se i genitori sono segnanti), ma non ci può essere acquisizione spontanea dell’italiano; per i bambini sordi figli di genitori udenti, invece, non ci può essere acquisizione spontanea né della LIS, né dell’italiano (a meno che non vengano presi provvedimenti in età precocissima esponendo il bambino alla LIS grazie ad un adulto sordo segnante nativo, preferibilmente significativo nella relazione con il bambino).

E’ importante distinguere l’età in cui si è manifestata la sordità, perché è strettamente collegata col tipo di linguaggio raggiunto. E’ logico che una persona nata non sorda, magari diventata sorda dopo i 6 anni, dichiari che il bambino sordo deve stare con gli altri bambini ma che deve imparare prima a ‘parlare’. La sua giustificazione è dovuta alla propria esperienza personale e al fatto che ha soltanto notato nella classe la differenza di stare con i bambini sordi, dimenticando che il passo principale verso la comunicazione e l’interazione sociale è quello di possedere una competenza linguistica. Praticamente si dice che più tardi si perde l’udito più è facile l’educazione del sordo. Ovviamente, se il sordo ha perso l’udito dopo i 4-5 anni, significa che ha avuto la possibilità di crearsi già una competenza linguistica verbale e quindi, in questi casi il compito degli insegnanti è in gran parte quello di ‘mantenere’ il linguaggio verbale. Questo termine di ‘rieducazione’, tanto caro agli educatori, è in realtà del tutto inappropriato nel caso dei bambini nati o diventati sordi prima dei due anni. Poiché questi bambini non hanno ricevuto uno input linguistico, non c’è nulla da ‘rieducare’ ma tutto da ‘educare’; soprattutto va creata in loro, il più precocemente possibile, una competenza linguistica ‘naturale’ che noti si è poteva sviluppare.

Quindi i sordi dalla nascita o divenuti tali entro i 2 anni hanno il diritto di conoscere e ‘vedere’ la lingua dei segni e successivamente di conoscere la Lingua italiana scritta e parlata. Nel valutare, però, il successo di un bambino sordo sul piano dell’istruzione vanno presi in considerazione più elementi: la partecipazione e il coinvolgimento della famiglia e la preparazione degli insegnanti di classe e di sostegno e delle persone sorde. Per quanto riguarda le persone sorde, invece, si auspica che abbiano un maggiore coinvolgimento nel campo dell’educazione, soprattutto sul piano professionale.

Si vuole concludere ribadendo ancora una volta, grazie agli studi di Fabbro, la differenza, dal punto di vista neurolinguistico, tra l’acquisizione e l’apprendimento di una lingua. “L’acquisizione di una lingua viene effettuata con modalità naturali, in un ambiente informale, con il coinvolgimento soprattutto della memoria implicita. Tutti i bambini acquisiscono la madrelingua attraverso strategie informali. L’apprendimento di una lingua, invece si realizza con modalità formali, cioè per regole, spesso in un ambiente istituzionale”.

BIBLIOGRAFIA

Caselli M., Maragna S., Volterra V., Linguaggio e sordità. Gesti, segni e parole nello sviluppo e nell’educazione., Il Mulino, Bologna, 2006;

Fabbro F., Il cervello bilingue. Neurolinguistica e poliglossia, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1999;

Rinaldi P., Tomasuolo E., Resca A. (2018). La sordità infantile. Nuove prospettive d’intervento. Trento: Erikson;

Sempio O.L., Marchetti A., Lecciso F., Petrocchi S., Competenza sociale e affetti nel bambino sordo, Carocci, Roma, 2006;

Sorace A., Un cervello, due lingue: vantaggi linguistici e cognitivi del bilinguismo infantile,Università di Edimburgo _http://www.minoranze-linguistiche-scuola.it/wp-content/uploads/2010/03/Sorace.pdf.

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